sabato, novembre 25, 2006

LE ORIGINI DELLO YOGA

Rintracciare le origini dello Yoga e seguirne gli sviluppi in modo lineare è un'impresa ardua se non addirittura impossibile, in quanto fu da sempre un percorso spirituale trasmesso segretamente per via orale da maestro a discepolo.

Per certo si può affermare che pratiche di meditazione e di ascesi, strettamente correlate allo Yoga, erano conosciute nell'ambito della civiltà indo-gangetica già nel 2.500 A. C.

Scavi archeologici hanno riportato alla luce due città: Harappa e Mohenjo-Daro, la cui struttura e i reperti ivi ritrovati indicano che si trattava d'insediamenti umani di avanzatissima civiltà: una civiltà pacifica fondata sull'agricoltura, l'artigianato ed i commerci.

Adoravano la Dea Madre, simbolo universale di fertilità e di vita: Si trattava dunque di un popolo sensibile alle forze e alle energie della natura, alveo ideale per una ricerca sull'essere e sulle, forze che lo agiscono.

Intorno al 1.500 A. C. popoli nomadi provenienti dall'Asia centrale, gli Arii, invasero la valle indo gangetica e ne sottomisero i popoli.
Gli Arii fondavano la loro sopravvivenza sulla pastorizia e su imprese di guerra, di conseguenza la loro vita sociale ed i loro culti erano caratterizzati da un rigoroso ordine gerarchico. La forza degli Arii fu dunque quella dell'efficienza militare, dell'energia finalizzata per raggiungere uno scopo. Inoltre agli Arii si deve l'introduzione della lingua scritta: il sanscrito.

Lo Yoga classico è il prodotto della fusione di queste due civiltà diverse ed antagoniste.
La scienza dello Yoga insegna a riarmonizzare gli opposti, non è dunque casuale che la sua nascita sia dovuta alla fusione di correnti energetiche contrarie.

La parola Yoga nasce dalla radice indoeuropea Yuj che significa sia soggiogare che unire. L'etimo rivela l'essenza della vera pratica: come il giogo viene imposto agli animali per domarne le forze contrarie ed indurli a lavorare insieme per tracciare il solco, così lo Yogin, attraverso la pratica costante dello Yoga (Abhyasa) deve soggiogare il corpo, la mente ed i sensi, unificarli per tracciare il sentiero interiore che lo condurrà alla liberazione (Moksa).

Lo Yogin così liberato dalla schiavitù dei processi naturali è un Jivanmukta, ossia un liberato in vita: è nel mondo ma non è più toccato da esso. In India il Jivanmukta è simboleggiato dal fiore di loto che vive nell'acqua, ma i cui petali sono asciutti e rivolti al cielo.

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